Flash mob contro la violenza: la testimonianza di Roberta vittima di violenza psicologica

In occasione del flash mob One Billion Rising di sabato 13 febbraio che si terrà in Piazza Gavazzi alle ore 11,00, Roberta, una delle socie fondatrici di C.L.I.O (Cultura, Libri, Idee, Opportunità) ci racconta tramite l’associazione, la sua esperienza di vittima di stalking sperando che possa essere utile a donne che stanno vivendo un’esperienza così drammatica.

CLIO – Roberta, sei stata vittima di violenza psicologica. Quando è iniziato tutto?
ROBERTA – Ero sola da un po’ e questo è un dettaglio importante perché la solitudine ci fa abbassare il livello di guardia. Era estate. Lui mi fu presentato da amici e questo abbassò ulteriormente le mie difese: mi fidavo di loro. Veniva da una storia molto lunga di cui io, però, non ho mai voluto sapere troppo: non si arriva a quarant’anni senza passato.
CLIO – Quando hai capito che qualcosa in lui non andava?
ROBERTA – Fortunatamente il suo rivelarsi per quello che era è stato molto veloce. Ha iniziato quasi subito.
CLIO – Come?
ROBERTA – Io faccio un lavoro impegnativo, spesso senza orari. Ho moltissimi interessi, impegni. All’inizio sembrava che questo non lo preoccupasse ma poi ha iniziato a manifestare la sua rabbia. Tornavo dall’ufficio tardi, lui era molto agitato. Mi tempestava di messaggi, mi telefonava con qualsiasi scusa, voleva che tornassi a casa. Manifestava un’insicurezza di fondo, la necessità di essere lui al centro dell’attenzione. “Devi tornare a casa, tu per me ci devi essere”, questo era il messaggio non esplicito che mi lanciava. Si arrabbiava pesantemente con me, era sempre nervoso, fumava tantissimo e continuamente. Arrivava a casa alterato dall’alcool ma io all’epoca non avevo capito subito che ne facesse uso. Urlava, mi insultava, ce l’aveva con me. Mi vedeva come la causa dei suoi problemi. A un certo punto ha cambiato strategia e si è trasformato da aggressore in vittima: stava male se non c’ero. Non potevo allontanarmi perché si sentiva male fisicamente. Io pensavo stesse male davvero, più di una volta ho cercato di portarlo al pronto soccorso ma, ovviamente, non ci ha mai voluto andare.
CLIO- Quanto è andata avanti così?
ROBERTA – Cinque mesi dopo è rientrato alle due di notte, completamente ubriaco, non si reggeva in piedi. Ha urlato e inveito contro di me fino alle 5 del mattino, vomitando ovunque. Sicuramente l’avranno sentito anche i vicini. Mi sono fatta forza approfittando della sua debolezza fisica di quel momento e l’ho buttato fuori di casa. Avevo paura per me e per Joe. Gli ho dato una settimana di tempo per portar via le sue cose. Mi sono chiusa in casa. Avevo paura. Lui ha continuato a tempestarmi di telefonate e messaggi. All’inizio, per cercare di recuperarmi, mi diceva che dovevo aiutarlo a capire, a non fare gli stessi errori. Una trappola che in un primo momento ha funzionato perché cercavo di farlo parlare, pensavo lo aiutasse, non me la sentivo di abbandonarlo completamente, mi sentivo in colpa.

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CLIO – Tu, invece, come hai vissuto questo periodo?
ROBERTA – Io ero annientata, non respiravo (la mancanza del respiro è stata la prima manifestazione fisica del disagio). Rifiutavo l’aria perché l’esterno non mi piaceva più e io non mi ci volevo riempire il corpo. Il corpo spesso arriva prima della mente a capire il problema ma io non lo sapevo ascoltare. Mi sentivo precaria, persino a casa mia. Ero spesso in ospedale per accertamenti, nessuno capiva cosa avessi. Poi un cardiologo del San Raffaele, al pronto soccorso, dopo avermi fatto fare una serie di esami, è riuscito a farmi parlare. Ha capito tutto e mi ha consigliato un percorso per ricostruire la mia autostima.
La voglia di prendermi cura di me e di non accettare di vivere la mia vita in quel modo, mi ha dato la forza di dire basta e non rispondere più bloccando il contatto ma lui ha continuato pressante per un altro anno. Ha smesso quando mi sono riappropriata di me, quando mi sono sentita di nuovo una donna libera e ho ripreso a respirare, sicura e decisa a vivere la vita senza la paura di trovare persone come lui.
CLIO – Hai sempre tenuto tutto dentro?
ROBERTA – Si, perché pensavo che la situazione si sarebbe messa a posto da sola ma dopo un po’ il disagio diventa “normalità”. Ero distrutta, il mio tempo era focalizzato su di lui pensando, inconsapevolmente, di vivere una relazione come tante. Con gli amici non uscivo più, non facevo più i miei corsi, non coltivavo i miei interessi; quando sapevo che era nei pressi di casa mia mi scapicollavo a casa mollando tutto. Ero sfuggente, triste e affannata. Avevo paura, mi colpevolizzavo. All’inizio queste situazioni malate non ci allarmano perché, piano piano, ci convinciamo che forse è normale e pensiamo che, col tempo, le cose possano cambiare: ci conosceremo meglio e ci adatteremo. Sbagliato! Mi ero dimenticata di me. La svolta per me è stata parlarne con un’amica, far uscire il problema dalla coppia. Quando le ho raccontato quello che mi succedeva, lei ha usato le parole “violenza psicologica”. Per la prima volta sono riuscita a dare un nome a quello che stavo vivendo.
CLIO – E come hai reagito?                                                                                                                                                     ROBERTA – E’ difficile lottare contro un meccanismo perverso e automatico che ti rosicchia dentro, prende spazio e non te ne accorgi perché pensi di essere una persona forte e strutturata. Io ho fatto un percorso di psicoterapia di gruppo che mi è servito tantissimo. Mi sono rivolta a una counselor che vedo ancora oggi, ogni tanto. Ho lavorato tanto su me stessa per imparare ad ascoltarmi. Ho capito che il primo segnale di disagio che il mio corpo mi manda è la mancanza di fiato. Quando non riesco a respirare, però, adesso mi fermo e mi ascolto. Ho imparato a leggere i miei segnali e a condividerli. Ho capito che è importante chiedere aiuto e anche manifestare un bisogno, un desiderio. Non dobbiamo avere paura di ciò che siamo e di chiedere ciò di cui abbiamo bisogno. Grazie a questo percorso ho imparato ad accettarmi per quella che sono. Ho trovato un equilibrio quando ho iniziato anche a ridere di me e ad accettare le mie debolezze. Mi sono sentita più forte, ho instaurato con me stessa un rapporto di sincerità. Prima indossavo una maschera con tutti. Ero convinta, sin da giovane, che un uomo lo dovessi far divertire, dargli leggerezza non appesantirlo con problemi. Oggi ho capito che la relazione non è soddisfare il proprio compagno, ho capito che il rispetto è alla base di un rapporto.
CLIO – Cosa ti senti di consigliare a chi si trova in una situazione come la tua?
ROBERTA – Prima di tutto di riconoscerla. Come dicevo prima spesso siamo convinte di vivere una situazione “normale”, siamo convinte di meritarcela, anche se dentro sappiamo bene che non è così. Bisogna poi imparare ad ascoltare il nostro corpo, chiedere aiuto, parlarne con qualcuno. Non tenere tutto all’interno della coppia. Se il nostro compagno ha un problema deve affrontarlo con le persone giuste. Non siamo noi le psicoterapeute dei nostri uomini. Non stiamo con loro per risolvere i loro problemi. Non è quella la nostra “missione”. Dobbiamo avere il coraggio di dire “hai un problema ma non sono io che posso aiutarti”. E, soprattutto, non dobbiamo avere paura di rimanere da sole. Il buono arriva quando siamo sufficienti a noi stesse. Il rapporto non deve colmare un vuoto, deve essere un arricchimento, portare un valore aggiunto. Ma tutto questo l’ho capito solo dopo. Auguro a tutte di non smettere di avere dei sogni e di trovare una persona che ne abbia di propri ma che insieme a noi voglia condividerli, realizzarli e aiutarci a realizzare i nostri.

Ringraziamo l’associazione C.L.I.O e Roberta per questa forte testimonianza. Ricordiamo a tutti i cernuschesi l’importanza del flash mob di sabato al quale anche Roberta sarà presente, noi ci saremo, e tu?

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